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Lettera a un Amico Poeta

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Sono le 6.45 e ho appena acceso il computer, ma non aprirò subito la casella della posta – come faccio da qualche tempo, sperando di trovarvi un “bigliettino” che provenga da te. Tu ci sei in questa digressione, per quella tua piccola frase – tra parentesi - con cui ieri chiudevi uno dei tuoi telegrafici messaggi: "chissà perché mi viene in mente una canzone antica, Il tango della gelosia, e mia cugina - morta da tanti anni- che la canta".

 

L’animo  umano – o la mente, o la psiche – è un mistero profondo ma  regolato da meccanismi semplici, che l’arroganza della cultura ufficiale ha relegato nell’angolo delle quisquilie (come direbbe Totò), per crearvi intorno i baluardi di regole ferree di nuova produzione. E’ inutile che mi dibatta intorno all’argomento: sono da qualche tempo conflittualmente  negativa nei confronti di quella che definiamo “cultura alta” (moderna, postmoderna…), che decide di occuparsi solo delle manifestazioni più pompose e aristocraticamente destinate all’universo dei “migliori”. Forse sbaglio perché non ho titoli (né cultura) accademicamente fondati per disquisire su fenomeni storicamente  documentabili. Ma non riesco a non pensare che fra i prodotti più tetragoni dell’ evoluzione sociale di Sapiens sia da annoverare il mercato. Creato per regolare gli scambi di beni materiali e prevenire possibili conflitti per il loro possesso, ha finito col divorare anche le sue produzioni  spirituali, sui quali imprime ormai il proprio marchio – e le proprie regole. E la “cultura accademica” ne diventa l’organo esecutore. Oggi vedo il fenomeno sociale dell’organizzazione mercantile come un potenziale Crono che tutto divora: paradossalmente non i figli, ma  coloro che lo hanno generato.

 

Cosa c’entra il “Tango della gelosia?” Quel tuo ricordo – confessato quasi con senso di colpa – mi ha portata a cercare di recuperarne il motivo. Ma in mente me ne correva uno che credo si chiamasse “Tango delle capinere”.  Ho ricordato quasi tutto: parole e musica, solidalmente armonizzate, creavano un effetto di dolcezza appassionata, che faceva sognare me – appena adolescente – di un paese lontano e bellissimo, di una “pampa in fiore” dove c’era “un nido fatto per l’amore”. E dove “un bandolero stanco scende la Sierra misteriosa”, su un  cavallo bianco dove "spicca la vampa di una rosa” , che avrebbe donato “alla sua capinera”.

Quel motivo, apparentemente sparito dalla mia mente per più di mezzo secolo, mi commuove nel ricordo  come il verso di Petrarca “...e la cetera mia si ruppe in pianto”.

Oggi, perfino i sentimenti più immediati e naturali sembrano banditi dalla civiltà della Cultura (con la maiuscola). Sentirsi dare del “sentimentale” è quasi un affronto, perché la “Cultura” deve essere ALTRO: deve sorprendere, provocare – disumanizzarsi.

Oggi forse sarò io a provocare una tua reazione: rifiuto di un rapporto, come un semplice scambio epistolare, che non può aggiungere nulla alla TUA CULTURA. Ma io sono la stessa che  trasale di emozionato stupore alla lettura della tua Fedra, dell’Infinito leopardiano, del “10 Agosto” di Giovanni Pascoli...

Sto solo riflettendo sul senso della nostra umanità, sulla sua crescita confusa, in cui tante qualità si ritrovano retrocesse a scarti di mercato.

 

Scusami, Rino: io non so essere accomodante  e adattabile a tutte le stagioni. C’è già il quotidiano  che mi obbliga a farlo. Che cos’è un rapporto in cui stima e amicizia dovrebbero fondersi perché le dita di due mani tese possano stringersi, metaforicamente,  in un’alleanza che vada al di là delle norme del galateo? 

 

Teresa (la sua parte meno nota), con affetto e stima

 

 

 

 Ferdinando Battaglia - 18/03/2014 13:38:00 [ leggi altri commenti di Ferdinando Battaglia » ]

C’è passione in ciò che scrivi e nel modo in cui lo scrivi (se posso permettermi...) e ti leggo volentieri; forse non c’è cultura accademica, però mi sembra non ci sia né banalità né superficialità. C’è intelligenza e ricerca.

(spero di non essere stato inopportuno nel commentare, in tal caso chiedo scusa).

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